Thursday, 29 January 2009

Presidente Obama, basta Keynes - LASTAMPA.it

29/1/2009
Presidente Obama, basta Keynes
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ALBERTO BISIN
Ieri è apparsa sul New York Times una lettera aperta al presidente Obama. Ha l’obiettivo di rimarcare che il consenso al piano di stimolo fiscale propostodalla sua amministrazione è meno vasto di quanto egli non creda, almeno tra gli economisti accademici.
L’iniziativa, originata dai premi Nobel Ed Prescott e Vernon Smith, è stata sottoscritta da numerosi altri economisti, oltre 200, tra cui io stesso.
Sebbene la lettera sia formalmente indirizzata al Presidente, essa ha anche altri destinatari. L’elezione di un democratico alla Casa Bianca in un momentodi grave crisi economica ha infatti indotto molti economisti di scuola keynesiana ad argomentare sulla stampa sempre più apertamente a favore di politicheeconomiche di espansione fiscale. Queste politiche comportano una maggiore spesa pubblica e vari interventi diretti di sostegno a industrie in difficoltà.Alcuni commentatori, tra cui purtroppo Paul Krugman, premio Nobel per l’Economia 2008 ed editorialista del New York Times, hanno preso a sostenere pubblicamenteche la professione degli economisti sia concorde nel ritenere necessari questi tipi di intervento. Krugman (sul New York Times del 26 gennaio) è giuntoa tacciare di «malafede» qualunque economista sostenga il contrario.
In realtà sono ormai più di vent’anni che le teorie economiche keynesiane, su cui è fondata la necessità di grossi stimoli fiscali durante una recessione,sono completamente screditate in accademia. Lo sono da un punto di vista teorico, perché presuppongono comportamenti severamente miopi e irrazionali daparte dei consumatori e degli imprenditori. Lo sono anche da un punto di vista empirico, semplicemente perché non funzionano. Anche gli economisti neo-keynesiani,molti dei quali alla Federal Reserve come Ben Bernanke, hanno abbandonato gli studi di politica fiscale e ormai da anni si occupano essenzialmente di politicamonetaria.
Ma, naturalmente, la lettera non vuole unicamente aprire una battaglia all’interno dell’accademia. Questa battaglia è stata persa dai keynesiani da ormaimolto tempo. Il suo obiettivo è piuttosto quello di influenzare le scelte del Presidente su quali tipi di spesa inserire nel piano di stimolo fiscale.Non credo di azzardare sostenendo che molti firmatari della lettera non siano affatto contrari in linea di principio al piano. Molti ritengono che alcunicapitoli di spesa possano provvedere a colmare delle importanti carenze nei servizi pubblici americani, dalla sanità all’istruzione. Se questa è la motivazionevera del piano, però, gli interventi fiscali debbono essere il più possibile limitati a migliorare quei servizi pubblici che davvero siano carenti.
Spendere per spendere, tanto in recessione qualunque spesa aumenta la domanda e sostiene l’economia, è una ricetta fallimentare. Tagli fiscali a famigliee imprese sono interventi di gran lunga più efficienti. È vero che, ora come ora, i tagli fiscali andrebbero in larga parte a incrementare i risparmi,non a sostenere i consumi. Ma questo perché le famiglie e le imprese americane negli ultimi dieci anni hanno consumato tanto e risparmiato poco, godendodi capitale a buon mercato dalla Cina e da altri investitori internazionali. Inoltre, i loro pochi risparmi sono stati ridotti del 20-30% dal crollo deivalori immobiliari e del mercato azionario nel corso dell’anno passato. Sostenere artificialmente i consumi delle famiglie e rallentare il declino di industriemalate non è la via alla soluzione della crisi. Da questa crisi si esce solo facilitando la riallocazione di capitale e lavoro alle industrie più produttive.Quali queste siano è compito dei mercati finanziari identificare. Per questo gli interventi dell’amministrazione Obama e della Federal Reserve sui mercatidei capitali saranno critici nel favorire o no la rapida soluzione della crisi. Molto più che non qualsiasi intervento di spesa pubblica.
Questa è una crisi economica profonda e in un certo senso di nuova natura, perché nata sulle ceneri della finanza e del mercato immobiliare. Non è beneaffrontarla con idee e politiche vecchie, che hanno già ripetutamente dimostrato i propri limiti.
alberto.bisin@nyu.edu

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